Una checklist in dieci punti sulla strategia Social Media di brand partendo dai dati del Digital Report 2024 di We Are Social e Meltwater.
Cosa significa leggere un libro di Facebook marketing oggi?
Prima di tutto, significa investire tempo su sé stessi, sulla propria formazione, sull’aggiornamento. Tempo libero sottratto ad affetti, passioni e relax, per fare meglio il proprio lavoro.
Ecco perché, dato il già elevato numero di manuali in circolazione, per gli autori e gli editori il primo imperativo morale è l’utilità. Il patto con il lettore consiste nel proporre libri scritti in modo chiaro e fruibile, scanditi da concetti e tecniche di immediata applicazione.
In tal senso “Facebook e Instagram Strategie per una pubblicità che funziona”, scritto da Enrico Marchetto per Apogeo, è un esempio di libro che rispetta appieno il lettore e i suoi diritti.
L’autore cerca da subito di stabilire un rapporto paritario con chi è dall’altra parte del foglio, che sa essere qualcuno che ha una necessità di conoscenza professionale della piattaforma di inserzioni Facebook e Instagram. E spiega, punto per punto, la sua visione sull’advertising nell’ecosistema Facebook: partendo sempre da casi concreti e mostrando come l’approccio strategico corretto possa valere tanto per la gelateria di quartiere quanto per il brand di fama mondiale.
Ho avuto occasione di farci due chiacchiere e ci siamo soffermati sia su alcuni passaggi-chiave del testo che su alcune questioni epocali che riguardano il gigante di Menlo Park. Accompagneremo l’intervista con alcune immagini di richiamo diretto al libro.
«Se sei Trieste non puoi venderti come Venezia. Se sei Lignano non puoi venderti come Rimini. Quello che mi aspetto da un social media manager è la coerenza col valore aziendale»
Partiamo dal tuo lettore medio: gestisce canali Facebook e Instagram a livello professionale, deve portare risultati su una piattaforma ormai molto matura, opera in un settore ad alta concorrenza. Riguardo ai contenuti, tu dici questo: “Vedo infinite pagine con contenuti patinati ma privi di anima, con zero interazioni e impatto. Vedo una marea di PMI con contenuti self-made, carichi di identità e di forza, che metterei subito in sponsorizzata”. Secondo te quindi, all’alba del 2020, un buon social media manager oggi quanta importanza percentuale deve attribuire ai seguenti tre ambiti di attività: strategia algoritmica; scrittura; grafica e videomaking.
«Tre anni fa dovevo decidere un libro di testo per il mio corso all’Università di Udine e stavo sfogliando un testo di un’autrice di marketing turistico. E sono rimasto fulminato da una frase “il valore più importante di una brand identity è la coerenza”.
Se sei Trieste non puoi venderti come Venezia.
Se sei Lignano non puoi venderti come Rimini.
Lì ho capito che coi social media stavamo sbagliando molte cose, perché l’errore più diffuso era proprio la mancanza di coerenza. Arrivare su Facebook e Instagram e cominciare a pensare e creare contenuti-pagliaccio pensando di avere a che fare con una platea di bambini da intrattenere.
E d’altro canto notavo come molte PMI col contenuto genuino, fatto in casa, sincero, ma soprattutto COERENTE spaccavano il feed ottenendo risultati davvero ottimi.
A questo punto quello che mi aspetto da un social media manager è la coerenza col valore aziendale senza mai tradirlo. Ti faccio un esempio, l’altro giorno ho fatto fare una videoispezione ai camini di casa mia. Mi aspettavo una roba super tecnologica, ma in realtà il primo test era composto da uno spazzacamino che urlava dentro a un tubo e l’altro che rispondeva dal tetto della casa. La prima cosa a cui ho pensato, dopo aver sorriso, è che mi piacerebbe un sacco essere il social media manager degli spazzacamini per raccontare la professione, il dietro le quinte, il come si fanno le cose, la presa diretta dell’urlarsi dentro a un tubo.
Cose semplicissime, a portata di telefono, ma estremamente coerenti.
Poi invece prendi le pagine di un settore, penso all’arredo design, e capisci che non distingui un’azienda da un’altra, tutte uguali, tutte identiche, con lo stesso tone of voice e lo stesso livello di noia mortale.
La soluzione è semplice create contenuto coerente, individuate quel crinale dove stare in equilibrio tra l’identità dell’azienda e ciò che piace al vostro pubblico.
La risposta alla tua domanda è semplice, 33%, 33%, 33%».
«Siamo di fronte a una situazione paradossale. Il livello di conoscenza del Social Media Marketing è molto alto in Italia. Però questa competenza trova raramente applicazione in azienda: bassi investimenti, basso commitment, molta incertezza»
Il tema del tuo libro è la pubblicità nell’ecosistema Facebook. Quattro anni fa, quando ti ho conosciuto, da docente avevi aperto lezione così: “utilizziamo un decimo delle possibilità di Facebook”, aggiungendo poi che “la fase più trascurata in Italia è il marketing analitico: analizzare i dati e trasformarli in informazioni”. Secondo a che punto siamo oggi? Il livello di adv in cui ti imbatti su Facebook e l’approccio delle aziende è migliorato? Oppure tali e così rapidi sono i cambiamenti che fare adv su Facebook sarà sempre un po’ come Achille che rincorre la tartaruga?
«Siamo di fronte a una situazione davvero paradossale. Si è alzata tantissimo la cultura dello strumento, nel senso il livello di conoscenza del Social Media Marketing è molto alto in Italia: nel solo 2019 sono usciti 4 libri dedicati all’advertising, uno più utile dell’altro, ci sono gruppi Facebook che seguo che propongono e risolvono casi con una maestria assoluta. E partendo tutti da una fase analitica davvero importante.
Dall’altro lato però questa competenza trova raramente applicazione nell’azienda: bassi investimenti, basso livello di commitment, molta incertezza sul ruolo da dare ai social per l’azienda. E soprattutto la maggior parte delle aziende non ha ancora capito che senza investimenti strutturati e “always on” la presenza sui social media è totalmente inutile.
Il puro organico non esiste più: morto, andato, ucciso»
Nel tuo libro sostieni che le scelte determinanti del social media manager sono fondamentalmente due: la strategia e l’elemento creativo. Per il resto, dai voce all’algoritmo Facebook facendogli dire questo: “credimi, sono più bravo di te nel decidere come allocare il budget per ogni target, tu preoccupati soltanto di decidere quanto vuoi spendere”. Non c’è però il rischio che così si perda un po’ di sana curiosità sul proprio lavoro, sulla piattaforma di inserzioni, a partire ad esempio dalla comprensione esatta dei posizionamenti? Non rischiamo che visual inadatti finiscano poi in posti dove rendono poco? Ad esempio, se il visual del mio post è un’immagine statica potrei non voler vederla comparire su un posizionamento video.
«Eh no, perché se ti dico che ti devi concentrare sull’elemento creativo, devi anche concentrarti sul piazzare la creatività giusta nell’ambiente giusto.
Guarda questo è un punto fondamentale: il micro-management di una campagna Facebook e Instagram, quindi l’ottimizzazione maniacale, la cura dei dettagli, l’analisi dei singoli posizionamenti fa la differenza solo quando l’impianto generale regge e il messaggio è coerente. Altrimenti è tempo perso.
Quindi nell’ordine:
1) Prima ragiona sulla strategia. Cosa voglio ottenere, come lo voglio ottenere? Inizia la stagione invernale e devo vendere degli skypass, quale sarà la mia strategia sui social? Lavorerò su contenuto narrativo/emotivo o smaccatamente promozionale? Sceglierò per la mia awareness una campagna video o giocherò con la portata sociale dell’interazione? Entro che raggio chilometrico la mia offerta dello skypass giornaliero sarà interessante? La gente è disposta a farsi 300 km per una sciata di un giorno?
2) Poi lavora sulla confezione del messaggio e del formato migliore.
Se avanza tempo pensa anche al micro-management, ma credimi che se hai soddisfatto punto 1 e punto 2 hai già fatto il 90% del lavoro».
«Non esistono scuole e non esistono palestre per attivare l’attenzione dell’utente, esiste solo l’assumere il più possibile il punto di vista del tuo target su Facebook e Instagram. Qual è la leva emotiva che gli farà fermare il dito nello scorrimento?»
E veniamo a uno degli elementi distintivi di quanto sostieni da tempo, sia da docente e da autore: su Facebook siamo tutti in guerra per l’attenzione dell’utente, quindi abbiamo bisogno di un “trigger point”, un punto di attivazione della sua attenzione. Un lavoro enorme e di grande qualità sulla propria scrittura: secondo te, dove e come si impara a farlo? E come ci si allena?
«Partiamo un po’ più a monte. Quando pubblichi un post, pubblichi un oggetto sociale piuttosto complesso perché lavora su quattro dimensioni.
1) Contenuto, cosa ci metti
2) Formato, come lo esprimi
3) Delivery, come lo spedisci
4) Retargeting, le relazioni che generi attorno a quel contenuto (interazioni, view, atterraggi) possono essere oggetto di potenziale retargeting
Capisci che parlare di scrittura è molto relativo? Perché è solo una parte del tutto, dove il tutto è più della somma delle sue parti. La scrittura non accompagna l’oggetto sociale, la scrittura è perfettamente fusa con l’oggetto sociale.
Guarda questo post:
«Tu qui non percepisci “la scrittura”, tu qui percepisci un oggetto sociale completo, senza separare gli elementi. Tu qui hai progettato le cose assieme, hai progettato il tutto, non “la scrittura che accompagna l’elemento visuale”, ma l’intero oggetto sociale.
E no, non esistono scuole e non esistono palestre, esiste solo l’assumere il più possibile il punto di vista del tuo target immerso nel feed di Facebook e Instagram.
Qual è quella leva emotiva che gli farà fermare il dito nello scorrimento?»
«Generare effort creativo per pochi key moment all’anno significa buttare via soldi. Ogni giorno è un key moment per il mio consumatore».
Peraltro, parlando di real time marketing, specifichi che il trigger point non deve tradursi nello sconvolgere a tutti i costi. Di Taffo, dici, ce n’è uno. In realtà però sono molte le agenzie, provenienti magari dalla pubblicità tradizionale, che continuano a concepire i social esattamente così: media in cui coprire un key moment o il trending topic del momento in modo spiazzante. Soldi ben spesi, secondo te?
«Totalmente buttati via. Generare tutto questo effort creativo per pochi key moment all’anno è uno spreco di risorse difficilmente giustificabile. Molto meglio ragionare in lunghi periodi, distillando basse dosi di creatività in tempi lunghi.
Se l’azienda inizia a partecipare all’asta di chi la spara più grossa o chi fa la cazzata più divertente, il gioco sarà sempre al rialzo e in tempo zero il pubblico si è già stufato».
«Ogni giorno è un key moment per il mio consumatore, ma non posso travestire ogni giorno le mie caldaie da personaggi di Game of Thrones, primo perché sarebbe incoerente, secondo perché domani cosa faccio? Le travesto da Friends. E dopo domani? Eh dopo domani c’è solo “chi l’ha visto” in tv e non so da cosa travestirle.
Non è così che si affrontano percorsi di lungo periodo».
«Salvini è l’imperatore della comunicazione polarizzante. Ma la polarizzazione invecchia e satura velocemente. E sparirà. Non consiglierei mai al centro-sinistra di polarizzare, ma di fare l’esatto contrario. E invece siamo travolti dai meme di sinistra»
Prosegui poi specificando che il trigger point è un elemento strategico: al “pizzicotto emotivo” deve seguire la soluzione, l’elemento rassicurante. Anche perché il trigger point può essere associato a una strategia di polarizzazione della audience, un approccio che in Italia qualcuno. Tu spieghi benissimo come funziona: “che tu stia con me o che tu stia contro di me, in entrambi i casi ti ritroverai a condividere il mio post e io politico guadagno una marea di copertura gratuita magari verso un pubblico non schierato che entra a contatto per la prima volta con la mia immagine e il mio messaggio. Così da influenzarlo. E il marchio guadagna una marea di visibilità in più proprio grazie al conflitto dei due poli”. Poniamo il caso, affatto remoto, che domani un partito di centrosinistra ti contatti e ti chieda di mettere in campo una strategia algoritmica e creativa che polarizzi. Qual è il primo trigger point che ti viene in mente?
«No, no, ferma tutto! 😉
Seguimi in questo ragionamento: il centro-sinistra sta a Salvini, come i social delle imprese stanno a Taffo.
Taffo è uno solo, è il primo, è l’unico.
Salvini è il primo, l’unico, è l’imperatore assoluto della comunicazione polarizzante.
Se giochi lo stesso campionato sei morto, perché la tua sarà sempre un’imitazione mal riuscita».
«Devi fare il contrario. Così per forza perderai il breve periodo, ma raduni la comunità per il lungo periodo.
Qual è l’unica risposta alla polarizzazione? La comunità.
La comunità adesso è totalmente perdente. Ma la polarizzazione invecchia e satura velocemente. E sparirà. E l’unica cosa che rimarrà è la comunità.
Cosa contraddistingue la comunità, la Gemeinschaft di Tonnies? Legami reali e condivisi, senso di appartenenza, coerenza nei valori.
Non consiglierei mai al centro-sinistra di polarizzare, ma di fare l’esatto contrario.
E invece siamo travolti dai meme di sinistra».
A un certo punto racconti anche di esserti imbattuto in una fake news costruita ad arte e messa in adv. A questo punto è inevitabile soffermarmi su questo punto: da alcune settimane, in vista delle prossime presidenziali Usa, a Facebook viene chiesto da più parti di farsi garante del fatto che sulle inserzioni politiche non ci siano fake news. Come vedresti il fatto che Facebook si faccia garante della veridicità dei contenuti delle inserzioni politiche? Lo trovi tecnicamente possibile, e soprattutto, pensi sia auspicabile? Ti fideresti?
«Siamo di fronte alla pura fantascienza. Usciamo dalla politica e facciamo un esempio dal marketing. Vengono usati ogni giorno tool non compliant con le policy di Facebook e Instagram. Vengono aperti e chiusi ogni giorno account di inserzione con l’unico obiettivo di spammare cose non legali su Facebook e Instagram. Dai bot alle mass view, metà dei tool consigliati dal growth hacking non sono in linea con le policy del Social Network.
E Facebook fa un’enorme difficoltà a tutelare gli investitori perfettamente legali.
Figurati se è in grado di diventare certificatore delle fake news. Non riesco a non sorridere.
L’unico vero avversario delle fake news è la crescita cognitiva.
Con calma, ce la faremo».
«Che tu abbia 45 o 22 anni, se vuoi lavorare su Facebook il mio consiglio è: studiare. Studiare, fare, tracciare, rifare».
Chiudiamo con tre consigli di formazione a due persone ipotetiche, molto diverse tra loro, che debbano iniziare a breve a gestire una pagina Facebook senza averlo mai fatto prima. Il primo è Giorgio: 45 anni, si è sempre occupato di ufficio stampa nella sua vita lavorativa, sui social a livello personale è presente su Facebook e Twitter. La seconda è Chiara: 22 anni, neolaureata in marketing, ora stagista in azienda, le vogliono affidare i social (è un grande classico): lei a Facebook non si è mai nemmeno iscritta, ha solo Instagram. Quale consiglio daresti a Giorgio, quale a Chiara e cosa invece vale per entrambi.
«Ecco, quando arriva il momento dei “consigli” io trasformo nel vecchio rincoglionito, retorico e noioso 😉
Giorgio e Chiara devono fare una semplice cosa: studiare.
Ti faccio un esempio: da qualche anno faccio il consulente per un’agenzia di comunicazione piuttosto nota, la cui vocazione principale sono le Digital PR.
Molte delle risorse umane provengono dall’ufficio stampa tradizionale e ora sono diventate delle macchine da guerra delle PR Digitali. Come hanno fatto? Hanno studiato, punto e stop.
E soprattutto non pronunciano mai le frasi “eh ma il mio settore è differente”, “eh ma io ho sempre fatto così”. Zitti, muti e sotto a studiare. Studiare, fare, tracciare, rifare.
Non è mai successo che io non mi portassi a casa almeno due cose nuove da un convegno, da un incontro, da una lettura, da un forum. Impossibile.
Vedrai che se adotti il metodo “secchione” il tuo post sulla pagina del giorno 30 sarà 100 volte meglio del tuo post del giorno 1 e sono passati solo 29 giorni.
Per Giorgio il lavoro sarà molto più complesso, perché probabilmente è incanalato in schemi mentali che diventano altamente tossici nei social, nel senso che se lavori su FB e IG la prima cosa da fare è proprio eliminare l’approccio “ufficio stampa”.
Per Chiara invece c’è solo una enorme curva di apprendimento da soddisfare».
Marco Borraccino
Una checklist in dieci punti sulla strategia Social Media di brand partendo dai dati del Digital Report 2024 di We Are Social e Meltwater.
A due settimane esatte dall'apertura dei seggi, l'analisi della campagna elettorale dei principali leader politici italiani sui Social Media: le strategie e le scelte, le scommesse e le illusioni, i risultati e le speranze che emergono dai dati di Facebook, Instagram, Twitter e TikTok, grande novità di questo voto.
INTERVISTA | L'aggiornamento iOS 14 sugli iphone ha aperto una nuova era nella privacy: per chi fa pubblicità sui social Meta, oggi il tracciamento del traffico degli utenti è più opaco e carente di prima. Lo strategist Emanuele Maragno racconta però che l'advertising su Facebook funziona ancora molto bene e che la sua centralità nel digital marketing è intatta. Ma i professionisti devono cambiare.
Kom42 è il laboratorio di Marco Borraccino, consulente di strategia, gestione e formazione in ambito social media marketing e comunicazione digitale.