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Novembre 23, 2018

Social Media, Cepernich: “Caratterizzeranno la comunicazione politica per molto tempo”

“Non si tornerà indietro dal nuovo assetto dei media. Ma il consenso, populista o no, non può essere inteso semplicemente come il prodotto di tecniche e di tecnologie”

Grandi Capitali della disinformazione e della propaganda.

Piattaforme sovranazionali che possiedono i nostri dati e sono in grado di condizionare democrazie ed elezioni.

Mezzi di comunicazione in cui la gerarchia delle fonti viene sovvertita dall’orizzontalità della relazione e dalla disintermediazione della notizia.

Dalla vittoria di Donald Trump all’ascesa dei movimenti populisti in Europa, i nuovi media sono sempre più spesso indicati quali responsabili del sommovimento politico cui assistiamo. Colpevoli della catastrofe secondo molti, alfieri del cambiamento per altri.

Dov'è il punto di equilibrio da cui analizzare il nuovo panorama comunicativo?

Su questo blog ne ho scritto molto, cercando nei dati una bussola per orientare il ragionamento. E in questa breve intervista condivido alcune questioni aperte con Cristopher Cepernich, docente di Sociologia politica all’Università di Torino e direttore dell’Osservatorio della Comunicazione Politica.

"Il consenso politico non è il prodotto della tecnologia"

Secondo Steve Bannon, il guru della nuova destra mondiale, la tecnologia avrebbe influito “tantissimo” sulla crescita dei populismi. Alcuni mesi fa in un’intervista a Repubblica Bannon ha sostenuto addirittura che la tecnologia abbia “squartato” il monopolio dei poteri forti e dei media mainstream. È d’accordo con Bannon?

"No. Quantomeno non nel modo in cui il concetto è espresso. Le letture deterministiche del rapporto tra tecnologie e società sono un vecchio arnese della propaganda. Anche sul piano scientifico non hanno fondamento. Quello che si definisce 'populismo' poi non è chiaro. In generale, però, il consenso (populista o no) non può essere inteso semplicemente come il prodotto diretto dell’applicazione di tecniche e di tecnologie".

Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono i leader la cui fan base è cresciuta maggiormente su Facebook nell’ultima campagna elettorale: al netto di tutte le ragioni tecniche di utilizzo della piattaforma, catalogherebbe questo dato tra le “cause” di ciò che è poi accaduto nelle urne, o tra i sintomi dello spostamento del consenso?

"No. Non è possibile stabilire nessun nesso causale tra l’efficienza e l’efficacia comunicativa di una campagna e il comportamento di voto.

Quest’ultimo è fenomeno troppo complesso. È il prodotto di una enorme quantità di variabili (culturali, economiche, generazionali, religiose, ecc.) che non può in alcun modo essere ridotto alle esposizioni mediatiche".

"L’influenza della società sui media è più forte di quella dei media sulla società"

Scrive il filosofo sud-coreano Byung-Chul Han nel suo famoso saggio "Nello Sciame. Visioni del digitale": “Le ondate di indignazione sono molto efficaci nel mobilitare e nel tenere desta l’attenzione. Per via della loro natura fluida e volatile, tuttavia, non sono in grado di strutturare il discorso e lo spazio pubblico. Per questo scopo sono troppo incontrollabili, imprevedibili, instabili, effimere e amorfe. Montano all’improvviso e si disfano altrettanto velocemente. Presentano un’indicazione minima con la società, dunque non costruiscono alcun noi stabile, che mostri una struttura di cura per la società nel suo complesso”. Lei recentemente ha sostenuto una tesi parzialmente in linea con quella di Han: “la comunicazione negativa” ha detto “ha una maggiore capacità di engagement sui social network, soprattutto con sentimenti come paura e rabbia”.

Domanda: dai social media e più in generale dai media digitali possono nascere invece mobilitazioni credibili ed efficaci fondate su sentimenti positivi, come speranza, solidarietà, sviluppo?

"Chiariamo un punto. Le emozioni negative non sono cattive per natura. Per esempio: la paura di ustionarci, ottiene l’effetto positivo di non prendere ogni volta la caffettiera rovente a mani nude. Si possono evocare le paure anche per buoni propositi, in linea teorica.

Il fatto che la comunicazione negativa sui social produca più attivazione (engagement) di quella positiva è un dato dimostrato scientificamente ad ogni latitudine da un vasto numero di ricerche empiriche. In tutta la comunicazione politica.

La teoria dell’intelligenza affettiva di George E. Marcus, W. Russell Neuman e Michael MacKuene  lo ha dimostrato per prima, ma ha aggiunto un aspetto interessante: al crescere dell’ansia, cresce la propensione degli individui ad acquisire informazioni.

Naturalmente gli aspetti negativi oggi sono più evidenti, perché ci sono forze politiche che utilizzano la paura comunicativamente su vasta scala per alimentare tensioni sociali. Produrre coinvolgimento e partecipazione attraverso l’evocazione di emozioni positive come la speranza è possibile: per esempio, Obama ci è riuscito. Però è costitutivamente più difficile".

Molti comunque guardano ai social media quale terreno di coltura privilegiato per l’odio e la violenza verbale: secondo lei, l’hate speech in politica arriva con i social o c’era già prima? Recentemente lei ha sostenuto infatti che l’influenza sarebbe in realtà “molto di più dalla società verso i social media, che non viceversa”.

"Confermo: l’influenza della società sui media è più forte di quella dei media sulla società.

Anche Luca Morisi, social media manager di Matteo Salvini, di recente ha affermato che la forza dei social di Salvini è Salvini stesso. È precisamente così, e lo dimostra la parabola comunicativa di Matteo Renzi: la sua comunicazione e i suoi social hanno funzionato perfettamente finché la sua leadership era forte. E sono tramontati seguendo la leadership".

"Il web non è un medium, ma un ecosistema che ridefinisce tutti i media"

Tv, radio, carta stampata e social media: nella comunicazione politica di oggi qual è secondo lei l’ordine di importanza tra questi quattro media.

"Non c’è una gerarchia d’importanza. Ogni canale ha specificità peculiari e svolge funzioni precise meglio di altri.

Per esempio: la tv è ancora il principale canale di visibilità per dare popolarità ad un volto o ad un brand. La carta stampata, nonostante la crisi della vendita dei giornali, conserva una grande capacità di fare agenda: in fondo la gran parte dell’informazione che circola sui social è ancora prodotta dalle redazioni delle testate giornalistiche. La radio ha una capacità eccellente di storytelling, basti pensare alla fortuna del podcast per l’informazione, che si consuma bene in mobilità.

Oggi dobbiamo ripensare il modo di concepire i media, perché il web non è un semplice medium. È un ambiente, un ecosistema che ridefinisce la natura dei media per com’erano. Andrew Chadwick ha introdotto il concetto di ibridazione per definire la nuova natura mixed dei media ai tempi del digitale: basti pensare allo spazio liminale che si genera nella fruizione sincronica di Tv e Twitter: quando seguiamo un talk politico e al contempo entriamo nel flusso del live twitting, ecco che siamo al tempo dell’ibridazione".

E guardando all’ultima campagna elettorale italiana, a parer suo quanto è stato necessario avere una strategia comunicativa cross-mediale, che sovrapponesse nuovi media e media tradizionali? E chi e perché tra i leader in corsa è riuscito a integrare meglio i vari mezzi?

"Tutte le campagne oggi sono cross-mediali, perché non possono non esserlo per la struttura del sistema dei media.

Non c’è dubbio però che la strategia più costruita sull’ibridazione sia stata quella di Salvini. Ha saputo utilizzare in modo efficiente l’ibridazione fra media tradizionali e web, soprattutto tra televisione e social, che sono il fulcro di qualsiasi campagna elettorale contemporanea. Oltre a questo, Salvini ha ibridato in modo molto efficace l’online e l’offline. Comunicazione online per la mobilitazione offline: basti ricordare il concorso Vinci Salvini, che grazie ai social promuoveva l’attivazione dei leader molecolari d’opinione nell’ambito del loro quotidiano (famiglia, lavoro, amicizie)".

Tutto è cambiato, niente è cambiato

In conclusione, possiamo senz’altro affermare che nell'ultima campagna elettorale i social media abbiano fatto definitivamente irruzione nel panorama comunicativo della politica italiana: vedendo anche quanto accaduto in questi mesi di governo, questa nuova conformazione del sistema mediatico è irreversibile oppure è pensabile, come forse qualcuno spera, che possa esserci un riflusso?

"Non è mai possibile tornare indietro nell’assetto del sistema dei media. La centralità dei social network – ma soprattutto della messaggistica e degli smartphone – è un tratto che caratterizzerà la comunicazione politica per molto tempo. Ciò comporta evidentemente nuove risorse e nuovi vincoli. Ciò che è necessario ora è sviluppare un’adeguata cultura del nuovo mezzo per usarlo con competenza".

Ultima domanda, di contesto. Lo scandalo Cambridge Analytica ha sicuramente generato un attacco frontale dei media tradizionali verso Facebook e i social media in generale. Secondo Lei, è cambiato qualcosa nel rapporto degli utenti con i social media?

"Niente. C’è maggiore consapevolezza di quanto si pensi".

Marco Borraccino

@borraccinomarco

 

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