Twitter è noioso, dicono in tanti: bene, qui novantanove profili per renderlo interessante e plurale. E alcuni suggerimenti per allestire un newsfeed coerente e funzionale ai propri interessi.
La conferenza stampa delle 18, le polemiche tra virologi sui social media, le persone comuni alle prese con un tema enorme come la gestione della pandemia.
L’emergenza del coronavirus ha portato al centro dell’attenzione l’esigenza di saper comunicare la scienza, di costruire una relazione tra esperti e cittadini.
Alcuni risvolti a cui ho assistito in queste settimane mi hanno riportato la mente a un episodio di qualche anno fa. Voglio partire da lì.
“Se voglio, posso dire cose terribili anche usando parole dolci e un tono pacato”
Lavoravo nel consiglio regionale del Lazio, come ufficio stampa. Ero nello staff di un gruppo consiliare di opposizione.
La sconfitta elettorale era stata rovinosa. In molti casi, a salvarsi ed entrare in consiglio erano stati i capi-bastone, i notabili in grado di mobilitare sul territorio pacchetti da decine di migliaia di voti.
Nelle assemblee elettive del nostro Paese fare opposizione a volte somiglia a una guerra, o a un capodanno organizzato all’ultimo momento. Genera alleanze impensabili. Capitava quindi di fare comunicati stampa congiunti fra gruppi consiliari diversi e fra rappresentanti politici lontani per sensibilità e percorsi personali.
E fu per una nota congiunta che mi capitò di parlare con “Frank Tre Dita”. Così, da alcuni colleghi addetti stampa, era stato ingenerosamente soprannominato il parlamentare regionale di cui parlo.
Magro, sulla sessantina, stesso taglio di capelli di Tony Hadley negli anni ‘80 ma brizzolato, Frank era un politico navigato, proveniente dai quartieri popolari di Roma est. Gli associo anche uno sguardo torvo e una pressoché perenne sigaretta in bocca. Lui e il mio capo sedevano all’opposizione nella stessa Commissione consiliare e al termine di una sessione decisero di inviare alla stampa una posizione comune. Venni incaricato di stendere la bozza.
Lavoravo per la stessa persona da molto tempo e quindi ne conoscevo con ottima approssimazione non soltanto le posizioni politiche ma anche il tono di voce e il registro, spesso radicale, battagliero, caustico.
La tradizione politica da cui proveniva Frank Tre Dita era opposta. Più moderata, orientata al compromesso, paludata nei modi e nel lessico.
Mi mossi in modo solerte e la nota che scaturì non era lunga. Poche righe ma dirette, aggressive, scritte nello stile politico e comunicativo del mio capo. Le lessi a Frank proprio nel lunghissimo corridoio degli uffici, cornice nota ai più anche per avere ospitato alcune scene famose del nostro cinema. Frank ascoltò senza battere ciglio. Poi sospirò, mi guardò dritto negli occhi ed esordì con timbro appena rauco, un’inflessione romana e il tono posato ma fermo.
“Ascolta”.
“Sì…”.
“Sai tu, che io potrei dire cose gravissime, cose molto pesanti, anche usando parole dolci? Ci hai mai pensato?”.
Io annuii tenendo lo sguardo, senza rispondere nulla.
“Se voglio” proseguì, lento e inesorabile “posso dire cose terribili. Terribili. Anche in un tono pacato. Te l’assicuro. Riflettici”.
Sosteneva l’argomento senza mai staccarmi gli occhi di dosso, convinto di quel che diceva.
“Riscrivilo, dai. Cambia le parole”.
Verso la fine di questo breve invito gli era comparso uno strano sorriso, che non ricordavo d’avergli mai visto prima.
Tempo dopo, dopo molti anni in quel settore, decisi di chiudere con la comunicazione politica e passare alla comunicazione d’impresa. Ma a quello scambio brevissimo ho pensato spesso, successivamente.
La scienza sui social: Burioni e gli altri
Roberto Burioni è uno dei divulgatori scientifici più famosi del nostro Paese. Inevitabile parlare di lui in questo ragionando su scienza e comunicazione.
La sua attività social e la altrettanto costante presenza in tv ne hanno fatto una persona influente nel dibattito pubblico. Uno da seguire. Quando però penso ad alcuni suoi tweet taglienti e corrosivi citati nelle news, mi torna in mente l’episodio raccontato sopra e mi chiedo cosa ne avrebbe pensato Frank.
Perché a volte, su Twitter, lo scienziato lascia il posto a un suo personalissimo Mr Hyde. Un opinionista tempestivo e perentorio. Qualche volta diverte anche me certo, lo ammetto senza difficoltà, perché è irriverente. Ma è anche molto divisivo.
Questo è un frammento di uno scontro ormai iconico, quello tra Burioni e la virologa dell’ospedale Sacco di Milano, Mariarita Gismondo. Siamo nell’ultima settimana di febbraio. In quei giorni l’emergenza del Covid 19 non aveva ancora assunto dimensioni tali da divenire innegabile e sui social media i virologi Burioni e Gismondo erano i principali riferimenti di due audience opposte: gli “allarmisti” e i “minimizzatori”.
Perfino oggi che abbiamo contezza di chi dei due avesse ragione, il tono sopra le righe di Burioni solleva qualche perplessità.
È giusto motteggiare una collega che avanza una tesi opposta alla propria? A posteriori, possiamo dire che ricorrere a un tono sarcastico sia stato funzionale a far pensare le persone?
Tarro è stato candidato al Nobel quanto io a Miss Italia.
— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) April 19, 2020
Lo stile comunicativo di Burioni non cambia nemmeno successivamente. In questo scambio, ad esempio, l’oggetto del contendere passa in secondo piano. Sull’attendibilità del virologo Giulio Tarro, cui si riferisce il tweet qui sopra, sono stati sollevati dubbi. Però di fatto anche qui Burioni usa la sua popolarità su Twitter per ironizzare sulla persona, non per offrire un contributo sull’argomento. E a chi legge resta la battuta, ma non un’informazione in più sul problema.
Il motivo dei ritardi dei progressi della ricerca è dovuto al fatto che persone intelligenti come lei non offrono il loro contributo nei laboratori indirizzando i ricercatori, ma si limitano a commenti su twitter.
— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) April 30, 2020
A volte Burioni non lesina sarcasmo neanche alle persone comuni. È corretto attenersi a ciò che si sa a livello scientifico. Ma perché ironizzare sulle ansie degli altri?
Ma Burioni non è sicuramente il solo. Durante questo periodo su Twitter è stato molto attivo anche Federico Ronchetti, scienziato italiano del CERN di Ginevra. Tutto nasce da qui.
Quindi? Lei cosa ha invece fatto? https://t.co/ZJN3BY7if6
— Claudio Berretti (@cberrets) April 18, 2020
Io ? Ho costruito un rivelatore di sensori monolitici al silicio da 3 gigapixel ed un calorimetro elettromagnetico per il CERN. Ho pubblicato 300+ articoli su riviste peer review. Sono capo operazioni di uno dei 4 esperimenti CERN di cui ho progettato la sala controllo. Lei ? https://t.co/XqCODI8XGY
— Federico Ronchetti (@f_ronchetti) April 18, 2020
Ronchetti, nei giorni successivi, non nasconde che da questo scambio il suo canale ne ha tratto grande giovamento.
dai se con un tweet ho avuto 10k follower proprio tanto pippa non sono 🙂
— Federico Ronchetti (@f_ronchetti) April 27, 2020
Penso che nei prossimi mesi la sfida dovrebbe consistere nello sfruttare la propria popolarità per diffondere consapevolezze tra le persone.
Ma in che modo?
Il debunking sui social nell’era della polarizzazione
Nel libro “Misinformation – Guida alla società dell’informazione e della credulità”, Walter Quattrociocchi, esperto di Computational Science e docente universitatio, racconta i risultati di una vasta analisi compiuta su Facebook tra due audience opposte: “cospirazionisti no-vax” e “debunker scientifici”. Uno dei rilievi più importanti della sua analisi, condotta nel 2016, è che questi due pubblici si erano contaminati ben poco: si erano comportati da nicchie chiuse, polarizzate, anche per effetto di scelte di algoritmo. Quando avevano interagito, quasi sempre erano rimaste sulla stessa posizione. Sui social il debunking, ovvero il lavoro di verifica e smentita delle bufale on line, non ha vita facile. Che fare dunque? Ripartire dalle basi.
Il tono di voce: 3 consigli a chi comunica la scienza sui social media
Che cos’è il tono di voce?
È una cosa indefinibile ma rilevante. È la forma, il lessico che usiamo, l’immaginario che evochiamo per sostenere le nostre argomentazioni. Non si vede ma si sente. C’è sempre ed è potentissimo. Valida o invalida un messaggio.
Se ben allineato al contesto, un tono di voce giusto è in grado di comprovare ciò che vogliamo trasmettere. Non soltanto lo corrobora: lo conferma.
Ed è una coerenza fondamentale. Se errato, infatti, il tono di voce è in grado di prosciugare di ogni forza vitale l’informazione che forniamo. La ragione rischia di diventare torto, soprattutto se non può ancora mostrare dati e certezze oggettive.
Proviamo a formulare tre indicazioni.
1. Un tono sincero: avere il coraggio di dire “ancora non sappiamo”
Se c’è una cosa che il coronavirus ha dimostrato, è che possono esserci territori specifici in cui la scienza non ha ancora raggiunto certezze. Il valzer di previsioni e smentite delle ultime settimane lo ha dimostrato. Non c’è nulla di male ad ammettere che su molte cose sono ancora necessarie sperimentazioni: la sincerità rafforza la fiducia fra esperti e pubblico.
2. Un tono didascalico: non dare per scontate le competenze altrui
Il 47% degli italiani ha difficoltà a comprendere un testo scritto. Quando comunichiamo informazioni scientifiche sui social, dobbiamo ricorrere a parole semplici e passaggi logici lineari, rifuggendo il più possibile dalla terminologia di settore.
3. Un tono empatico: evitare il sarcasmo
Il sarcasmo verso l’altrui ignoranza non aiuta né chi riceve la risposta, né gli altri che assistono allo scambio: meglio non cadere nelle provocazioni e passare oltre. Ostentare di continuo il proprio cv o le proprie conoscenze equivale a voler vincere facile. Molto più avvincente e soprattutto utile è la sfida di costruire empatia tra gli esperti e le persone.
A tempi complicati, comunicatori efficaci
Qualche giorno fa, il Datalab di Eni ha evidenziato che le emozioni a risaltare nelle audience social italiane sono state la fiducia e la rabbia. Il coronavirus porta certamente con sé tempi complicati: le persone sono spaventate. Per mesi, anni forse, la scienza dovrà dialogare direttamente con loro. Anche chi non ha preparazione culturale dovrà comprendere e accettare decisioni gravide di conseguenze sulla sua quotidianità. Avremo bisogno di parole scelte con cura, di toni di voce azzeccati, di comunicatori efficaci.
Marco Borraccino
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