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Ottobre 4, 2020

Più competenze, meno vanità: Linkedin non è Instagram

INTERVISTA | Su Linkedin riponiamo aspettative e bisogni, ma siamo davvero sicuri di usarlo bene? Ne ho parlato con Mirko Saini, esperto e formatore sugli utilizzi più avanzati della piattaforma.

Social Recap - intervista a Mirko Saini su Linkedin

Circa 14 milioni di iscritti, un incremento del 16% negli ultimi 2 anni: in Italia, Linkedin è uno dei social media a crescita più consolidata. Vi riponiamo aspettative di nuove opportunità professionali e bisogni di crescita della nostra cerchia di contatti di lavoro.

Eppure, quanti direbbero di averlo saputo usare bene finora?

Quanti si definirebbero soddisfatti della propria esperienza su questa piattaforma?

Vanità o competenze? Linkedin non è Instagram

Infatti, osservando il comportamento delle persone sulla piattaforma, si rileva che per far emergere il proprio profilo si punta sempre più spesso sulla vanità, non sulle competenze, applicando a Linkedin un approccio simile a quello che si ha su social media più imperniati sull’intrattenimento, come Instagram.

Ho fatto una chiacchierata in merito con Mirko Saini, un esperto che seguo da anni. Formatore, “social seller”, autore del libro “Linkedin profilo efficace”, anche nei suoi post sulla piattaforma Mirko Saini dispensa spesso indicazioni e consigli su come strutturare la propria presenza all’interno del social network “professionale”.

Iscritti a Linkedin in Italia divisi per sesso, età, area geografica

Età, sesso e distribuzione geografica degli utenti Linkedin in Italia (Sedicesimo Rapporto sulla comunicazione, Censis, 2020)

Il peggior momento per utilizzare Linkedin per cercare lavoro è quando siamo costretti a trovarlo.

  • Ciao Mirko, partiamo da un comportamento ricorrente. Le persone si iscrivono per cambiare lavoro o ritrovarlo. Proiettano su Linkedin l’idea di un’agenzia di collocamento 2.0. E quindi: aprono il profilo e sostanzialmente vi riproducono il cv. Caricano i propri contatti mail sulla piattaforma e “spammano” di inviti. Nella headline mettono semplicemente l’ultimo ruolo ricoperto. Quanti errori vedi in questo approccio? E qual è il principale cambio di mentalità che ogni utente dovrebbe fare?

Saini: “Gli errori sono tanti. Il primo è che il peggior momento per utilizzare LinkedIn per cercare lavoro è proprio quando siamo costretti, e abbiamo fretta, e non abbiamo più il tempo necessario a costruire le relazioni.  Linkedin va coltivato nel tempo e non utilizzato solo nel momento in cui ci serve qualcosa. È un Social e va utilizzato per costruire una rete sociale. E per rete sociale non intendo meramente contatti da collezionare, ma con cui tessere delle relazioni che possano tornarci utili in più momenti: quando ci occorre qualcosa o nel momento in cui siamo noi in grado di fare qualcosa per qualcun altro.

Altra cosa: c’è un grosso equivoco. Ed è il pensare che il nostro profilo LinkedIn sia una forma di biografia o di curriculum vitae (e già biografia è meglio di curriculum vitae). Va demolito questo malinteso: il curriculum vitae è una sorta di sintesi e quindi va costruito in modo tale che raccolga tutte le nostre informazioni essenziali in un foglio A4. Perché questo foglio A4 combatte con altri fogli A4 per l’attenzione di un HR o di un datore di lavoro. Più siamo sintetici e riusciamo a mostrare le nostre capacità in poco spazio, meglio è.

Diverso è il profilo Linkedin. Il profilo Linkedin non ha necessità di lottare per l’attenzione. Quando qualcuno guarda il nostro profilo Linkedin è perché vuole farlo. Perché ha già preso in mano un cv, oppure perché si è già reso conto altrove di quello che noi siamo in grado di dire e fare, di quello che noi sappiamo, in forza di quanto abbiamo scritto in un post o in un commento. Chi visita il profilo vuole avere maggiori informazioni rispetto a un cv.

Il cv è sintesi. Invece nel profilo Linkedin - soprattutto nella parte che viene trascurata dalla gran parte delle persone che è quella delle informazioni, l’About o Summary - vi è la necessità di far uscire quella che è la nostra persona. Anche perché – altra cosa che la maggior parte dei candidati si dimentica – un datore di lavoro o un HR non sceglie un insieme di skill ma sceglie in primo luogo una persona, poi il professionista, il consulente, il dipendente. Noi prima di tutto scegliamo una persona, con delle qualità emotive e personali che sono imprescindibili.”

Indicare il numero dei contatti nella propria headline fa bimbominkia. Fa molto Instagram e Linkedin non è Instagram: è la qualità della rete sociale che conta.

  • Altra tendenza ancora diffusa: la vanity metric del numero dei collegamenti su Linkedin. Qualcuno lo indica addirittura nella headline del proprio profilo: “Tizio | Ruolo | 3 K followers”. Qual è il tuo orientamento sulla rete dei contatti? Cos’è che determina il valore della cerchia di collegamenti?

Saini: “Faccio sempre questo esempio. Se io lavoro per un’azienda che vende componenti che vengono installate all’interno di centrali nucleari, con cento contatti sono a posto. Perché in cento contatti, considerato il mercato in cui vado a operare, vado a coprire tutto il mio potenziale target nel pianeta Terra. Se invece ho una cartoleria e vendo matite (ammesso poi che Linkedin sia il posto giusto per me) neanche se raggiungo 30mila contatti, che è il numero massimo di collegamenti che posso avere su Linkedin, la mia rete è sufficiente.

Non si deve parlare di contatti, ma di rete sociale e di qualità dei contatti. L’ampiezza varia a seconda del settore, del mercato, di quello che noi vogliamo fare, di come noi lo vogliamo utilizzare. Linkedin può essere utilizzato per fare tante cose: per cercare lavoro, per cercare clienti, per cercare partner, per approfondire, per costruire una rete sociale che mi possa servire nel mio lavoro, per trovare investitori. A seconda dell’obiettivo che mi prefiggo, avrò una necessità di costruire una rete più o meno ampia.

Indicare il numero dei follower fa un po’ bimbominkia: te lo dico chiaramente, non ho nessun problema. Perché fa molto Instagram. Lo dico sempre ai professionisti che mi capita di intercettare e che mi chiedono consigli e magari nel loro profilo vedo proprio questa cosa qui: ragazzi, se il vostro target è il quattordicenne-quindicenne che può essere impressionato dal numero di follower e dall’ampiezza della nostra rete sociale ok, mettetelo. Ma dubito fortemente che su LinkedIn quel tipo di target lo troviate. Se invece il vostro target è il professionista come voi, o è il buyer, o è l’imprenditore, l’HR, o chiunque altro, riscontrare che indicate i vostri contatti come un mero numero per andare a mettere una medaglia sul proprio profilo, farà pensare anche a lui di essere solo un numero per voi.

Se un professionista, un HR, un potenziale datore di lavoro o un consulente si vede arrivare la richiesta di contatto da una persona che indica nella headline quanto è vasta la sua rete, c’è sempre la possibilità che si ponga questa domanda: questa persona mi sta mandando la richiesta di contatto perché è interessata a ciò che dico, a ciò che faccio, o perché gli serve un numerino per passare da 3K a 4K?”

Altro errore da non fare: compilare il profilo Linkedin e pregare che un giorno un HR capiti sul profilo. Bisogna partecipare a discussioni inerenti al proprio lavoro e mostrare le proprie competenze: solo così le persone riusciranno a comprendere quanto ne sai.

  • Una volta che si è aperto il profilo e si è avviata la costruzione della rete di collegamenti, molte persone su Linkedin si bloccano. “E ora? Che devo fare? I recruiter verranno a cercarmi?”. C’è un insight di strategia che ti senti di condividere, con chi cerca lavoro?

Saini: “Altra cosa importante in termini di posizionamento: Linkedin non è la trasposizione on line di una bacheca in cui vado ad appicicare il mio curriculum vitae.

È necessario mostrarsi. Come? Mostrando le proprie competenze.

In che modo? Partecipando anche a discussioni. Linkedin è un social. Molte persone invece l’hanno scambiato per una bacheca digitale dove affiggere con una puntina il proprio cv.

Detto sopra che il profilo Linkedin non è il cv, altra cosa da non fare è compilare il profilo e poi mettersi lì a pregare iddio che un giorno un HR si svegli e capiti lì a visitare il mio profilo e, illuminato da quel che ho scritto (cosa di cui dubito fortemente, visto che la gran parte delle persone ci mette solo il cv), mi contatti. Non è così che funziona.

Bisogna parlare, bisogna partecipare alla discussione in questa piazza pubblica che è un social. In che modo? Parlando di quello che conosco, parlando di tutti gli argomenti inerenti al mio lavoro. Ripeto: inerenti al mio lavoro. Devo circoscrivere la scelta degli argomenti e di ciò che dico a quello che so fare, perché solo così le persone riusciranno a comprendere quanto ne so di quella materia, e solo così riuscirò a far pensare a un HR o a un potenziale datore di lavoro ‘ecco, questa è la persona che potrebbe darmi una mano’, sia perché lo presento come candidato se sono un HR, sia come persona da assumere se sono un imprenditore”.

Anche il cosiddetto “Link nel primo commento” è una pratica assolutamente odiosa, da bimbominkia.

  • Con i rilasci degli ultimi anni, si sono poi diffusi su LinkedIn “meccanismi di hacking” dell’algoritmo: non si condivide più l’articolo o il contenuto esterno, ma casomai si scrive un lungo post di annuncio chiudendo con “ti lascio il link nel primo commento sotto”, oppure si conclude con una domanda, a volte un po’ forzata, all’audience, per tentare di bucare il newsfeed con i commenti. Va riconosciuto che qualche volta funziona pure; altre meno. Cosa ne pensi?”

Saini: “Pratiche che trovo assolutamente odiose. Ma cerchiamo di distinguere.

Il ‘Link nel primo commento’: anche qua, fa bimbominkia. Puzza di escamotage per cercare di forzare l’algoritmo di Linkedin che sicuramente premia di più un post testuale piuttosto che un post testo + link: come tutti i social network, quando c’è un link esterno Linkedin tende a ‘difendersi’ e dare poca copertura al tuo post. Però questo ‘Link nel primo commento’ è fastidioso, per due motivi.

Uno molto semplice: da un punto di vista tecnico il link nel primo commento magari non è più il primo commento, perché basta che ci sia un commento che prenda un paio di like in più di quello che ho postato io, è diventato automaticamente il primo commento. Perché Linkedin ordina i commenti per rilevanza, non per ordine cronologico.

Due: da un punto di vista sociale, cioè dell’impatto che noi abbiamo mostrando questo tipo di attività, questa pratica ha l’effetto di mostrarci più attenti all’algoritmo che all’opinione altrui.

Per quanto riguarda la domanda forzata, oppure non so, “commenta qui se vuoi ricevere il mio ebook”, ecco, qui dipende da qual è l’intento.

Se l’intento “di mercato”, proprio di vendita (facciamo finta di parlare di social selling) è quello di rivolgerci ai cosiddetti “opportunity-seeker”, i cercatori di opportunità, quelle persone che cercano le scorciatoie, i “10 modi per fare soldi nel giro di un mese” (ovvero quelli che provano questo, quell’altro, quell’altro ancora, cioè quelli che per deformazione professionale o per natura saltano da un’opportunità all’altra, incuranti del fatto che in cuor loro sanno che la scorciatoia non esiste ma la cercano in continuazione), ecco, se il target del nostro business è quello, benissimo, questa è una strategia che paga.

Se invece è quello di costruire nel tempo relazioni che ci portino valore, e per valore posso intendere un posto di lavoro, un partner, o i migliori talenti se sono un imprenditore, oppure ancora dei clienti, allora questa è una pratica dalla quale devo tenermi assolutamente lontano perché dequalifica la mia figura e la mia professione”.

L’avvicinarsi di Linkedin a Facebook ha portato la piattaforma ad essere un po’ più pop, mentre quattro-cinque anni fa era ancora molto di nicchia.

  • Da quando su Linkedin sono arrivate le reactions, ultimamente si vedono anche circolare anche molti “reactions quiz”, in voga quattro anni fa su Facebook e poi bannati.

Saini: “Per certi versi l’avvicinarsi a Facebook non lo vedo come una cosa negativa: da un punto di vista grafico per esempio. Perché chiaramente questo avvicinarsi a quel tipo di social network ha portato Linkedin a essere un pochino più pop, popolare rispetto a quattro o cinque anni fa, quando era ancora molto di nicchia.

Trovo invece queste tattiche, queste ‘strategie’ per andare a ingaggiare il proprio pubblico, sbagliate. Le trovo sbagliate di là, come le trovo sbagliate di qua. Infatti Facebook le ha bannate, Linkedin non lo ha ancora fatto, è un po’ più lento a reagire a questo tipo di cose, ma alla fin fine non pagano”.

  • E secondo te, con il dilagare di queste modalità è possibile che Linkedin in futuro decida di modificare qualcosa in algoritmo per valorizzare la qualità del contenuto, invece dell’interazione un po’ forzata?

Saini: “Sì, è possibile, e devo dirti una cosa, già da qualche mese a questa parte ha introdotto una redazione, fatta di persone: ogni Paese ha una redazione Linkedin che va a premiare determinati contenuti e mettendoli in evidenza, quindi ‘dandogli un boost’ dal punto di vista dell’algoritmo. Su questo Linkedin si è mossa prima di Facebook, che questa cosa qui non ce l’ha. Questo team, questa redazione di giornalisti che lavora sul singolo Paese, tutti gli altri social non ce l’hanno”.

Ognuno di noi vende. Anche chi cerca lavoro, vende. Vende le proprie competenze.

  • C’è poi il programma di “social selling”, un avanzamento business del proprio profilo, su cui tu hai un’esperienza consolidata come formatore. A che punto siamo, in Italia, con la sua diffusione e il suo utilizzo? C’è consapevolezza delle opportunità della versione a pagamento della piattaforma?

Saini: “Cerchiamo innanzitutto di non fare confusione.

Cos’è il social selling?

Partiamo da un presupposto: ognuno di noi vende.

Ergo anche chi cerca lavoro, vende.

Vende che cosa? Le sue competenze, affinché un potenziale datore di lavoro o un HR le acquisti. Ok? Quindi social selling che cosa significa innanzitutto? Significa creare i presupposti sui social affinché una persona veda in un possibile colloquio con me un’opportunità, e non una perdita di tempo.

Social selling è tutto ciò che faccio su Linkedin prima di trovarmi davanti alla persona che voglio incontrare.

Quindi social selling è tutto ciò che io faccio prima di trovarmi vis a vis con lui. Poi da lì, a seconda dell’obiettivo, noi possiamo definirla chiacchierata fra potenziali soci, negoziazione, trattativa, colloquio di lavoro. Prende cioè strade diverse.

Chiaro che ci sono attività che sono più push e altre più pull. Pull è costruisco un contenuto e attiro, push è chiedo il collegamento. E chiaro anche che pure chi cerca lavoro può fare un’attività di ‘push’.

Quindi, il social selling va bene a tutti.

Altra cosa è invece la versione a pagamento della piattaforma, su cui occorre fare dei distinguo. Ci sono quattro tipologie diverse di versioni a pagamento di Linkedin, che sono costruite per quattro diversi obiettivi.

  1. [Business] C’è la versione che chiamiamo Professional, che è una sorta di carne e pesce, ti dà qualche possibilità in più (mandare messaggi InMail, una ricerca avanzata un po’ più articolata e via dicendo).
  2. [Career] Poi c’è la versione a pagamento che si chiama ‘Job Seeker’, e lo dice la parola, serve sostanzialmente a chi cerca lavoro.
  3. [Sales] C’è la versione a pagamento che si chiama Sales Navigator, che a sua volta si divide in tre versioni: sales navigator è un vero e proprio strumento, un mini-CRM interno a Linkedin che serve alle reti vendita.
  4. [Hiring] E poi c’è il pacchetto recruiter, anche qui si divide in due, Corporate e Light, e questo, lo dice la parola stessa, serve come strumento di lavoro agli HR.

Come le videolezioni su Zoom, in Italia il Sales Navigator di Linkedin ha ricevuto un’acceleratina dal lockdown.

Quanto alla diffusione, posso parlarti di ciò che conosco. Io lavoro con le reti di vendita, e tieni in considerazione che professionisti come il sottoscritto – oddio, non siamo tanti - sono ormai persone che lavorano stabilmente. E, te lo dico chiaramente, si fanno pagare anche bene. Perché lavorano a stretto contatto con aziende e la domanda negli ultimi tre o quattro anni è aumentata.

È aumentata perché ci sono sempre più aziende che vedono che dotare la propria rete commerciale di strumenti, di capacità, di tattiche, di strategie di social selling, e in più di una formazione sullo strumento Sales Navigator, è indispensabile. È chiaro che il lockdown ha dato un’acceleratina. Perché, come ad esempio le videolezioni su Zoom, anche l’utilizzo di Sales Navigator di Linkedin per andare a trovare nuovi clienti ha avuto un incremento. Però devo dirti che non ha fatto altro che accelerare. Cioè prendere un’azienda che già ci stava pensando e farle dire ‘ok, lo faccio’. Ci sarebbe arrivata magari un pochino più tardi, il Covid ha accelerato”.

Altro grosso malinteso: pensare che le company page su Linkedin possano funzionare con una fan page su Facebook. La pagina aziendale su Linkedin deve essere pensata come un hub di contenuti per i profili personali.

  • Infine, un’ultima domanda sulle pagine aziendali di Linkedin. Anche qui, c’è ancora poca consapevolezza sulle potenzialità dello strumento. Mission aziendale, acquisizione di nuovi lead, reputazione, brand awareness e altro ancora: sono molti gli obiettivi che possono essere perseguiti. Cosa deve esserci secondo te alla riga numero uno della strategia di una pagina Linkedin aziendale?

Saini: “Qui c’è un grosso malinteso da chiarire: il pensare che le company page possano funzionare come una fan page di Facebook, dove io posso tranquillamente fare marketing senza coinvolgere i profili personali. Ma per come è concepito Linkedin, la pagina aziendale serve a poco se io non la faccio dialogare con i profili personali delle persone che lavorano in quella azienda. Sostanzialmente la company page è un hub, un contenitore di contenuti che servono o possono essere utilizzati da chi lavora in azienda. Poi dovremmo entrare nel merito: a seconda della strategia o del tipo di settore, di processo di vendita, ci sono tanti distinguo che bisogna fare. Comunque sia, sulla company page dovremmo trovare contenuti postati a cura del marketing, che possano essere utilizzati sostanzialmente da tutte quelle persone che rappresentano l’azienda, che dicono di lavorare per l’azienda e che utilizzano Linkedin col proprio profilo personale per andare a ingaggiare potenziali clienti, per creare quelle opportunità di vendita di cui parlavo prima, di social selling.

Questo è quello che deve essere fatto in Linkedin”.

Marco Borraccino

@borraccinomarco

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