Una checklist in dieci punti sulla strategia Social Media di brand partendo dai dati del Digital Report 2024 di We Are Social e Meltwater.
Dopo l’intervista di novembre 2019, ho avuto nuovamente l’opportunità di fare due chiacchiere con Enrico Marchetto, Social Media Strategist, formatore e autore, da poco in libreria con il suo terzo libro, “Confessioni di un Marketer”. Le sue riflessioni sono state inviate in prima battuta agli iscritti a Endurance, la newsletter di Kom42.
"Abbiamo molto sottovalutato la parola Manager, cioè un'attività atta alla gestione e alla definizione strategica. E l'abbiamo confusa con una fase operativa di pianificazione editoriale".
“Definizione secondo me un po' delicata. Andiamo a fare l'analisi di ‘Social Media Manager’: cosa abbiamo considerato Social Media Manager fino adesso?
Secondo me abbiamo molto, molto sottovalutato la parola Manager, cioè un'attività atta al management, alla gestione, alla progettazione, all'organizzazione, alla definizione strategica, alla definizione degli obiettivi. E l'abbiamo confusa con una fase operativa di pianificazione editoriale, di creazione editoriale.
Lo dico ai miei studenti e ai miei studentesse, che sono sempre rivolti principalmente all'atto creativo legato al visual o al copywriting, e mai invece rispetto a cosa vogliamo ottenere, all'analisi benchmark su quanto abbiamo ottenuto, all'analisi del dato. Io penso che nel 2025 la figura del Social Media Manager se la passi meglio che mai se mettiamo l'accento sulla parola Manager, per il semplice fatto che è in una situazione di conflitto che emerge una capacità di organizzazione, una capacità di gestione.
È vero che c’è competizione sempre più alta in un'asta di advertising: ma quanti Social Media Manager fanno l'advertising?
Quanti lavorano proprio con un concetto di advertising orientato alla performance?
Non sono molti, perché il budget in Italia, tendenzialmente, è poco.
Il background di competenze sempre più multidisciplinari, certo: dobbiamo saperne di metodologia della ricerca sociale, dobbiamo saperne di Excel, dobbiamo saperne di prompting, però insomma è anche il senso del nostro mestiere. Dovremmo cominciare a uscire da una mentalità in cui molti dei Social Media Manager ancora sono pagati a cottimo per un piano editoriale, per far diventare dignitosa non solamente una professione ma il riflesso di quella professione.
Noi dobbiamo aiutare il branding delle aziende e dobbiamo aiutare il fatturato delle aziende: questa è la nostra missione, è un compito difficile e non è fare due post su Instagram che va a risolvere questo compito.
Quindi direi che il 2025 lo vedo come una riconquista di una dignità di un mestiere che ricolloca un asset, come quello dei Social Media, centrale nel mondo del business e nel mondo soprattutto di quella che è la piccola e media impresa in Italia, che insomma per anni ha confuso il social media management con due o tre post messi su Facebook. E in più l’idea che l’algoritmo abbia così alto il proprio peso specifico ci permette di fare una cosa che forse abbiamo dimenticato nel tempo, cioè di curare l’aspetto del marketing, di ragionare sull’aspetto relazionale tra prodotto e consumatore: cose che veramente abbiamo rischiato di dimenticarci per un bel po’ di tempo”.
“Io non sono mai stato per la verticalità. Io sono per imparare le caratteristiche di mercati diversi e scalarli. E se non hai una competenza te la vai a prendere, punto”.
“Io non sono mai per la verticalità dell'industria, anzi io sono per imparare le caratteristiche di un mercato e provare a scalarlo.
Nel mio caso specifico, io ho passato quasi dieci anni della mia vita, forse qualcosa in meno, a lavorare mono-mercato, lavorando con un mercato che è quello del poker e del gambling, perché era estremamente profittevole, anche se forse non così socialmente desiderabile, che è anche il motivo per cui per molto tempo della mia vita sono rimasto ‘nascosto’. Non è qualcosa che ti spendi a un convegno, non è così socialmente desiderabile come un ambiente fashion o come un ambiente di GDO, o come marchi più catchy di una casa da gioco.
In quella mia esperienza iper-verticale, non sono andato a cercare altre realtà verticali come quell'industry, ma ho provato a scalare un sapere che ho cresciuto e ho coltivato in uno dei contesti tra i più competitivi in natura. Perché ricordiamolo che il gioco è un contesto iper competitivo in termini di CPM in termini di budget investito, eccetera, e io ho provato a scalarlo su altri mercati. In alcuni casi ci sono riuscito, in altri casi no, ma se non l'ho scalato ho imparato a scalare, ho imparato le leve di quel mercato.
Come dire noi siamo delle guide dell'intelligenza artificiale: lo puoi fare in diversi mercati completamente differenti, previa naturalmente lo studio di quel mercato. Anche qui la base di tutto è la competenza, e la competenza te la fai, punto. Cioè sta cosa, è come se ci fosse una resistenza di base a andarsi a prendere il sapere, è una cosa che mi ha sempre fatto riflettere: se non sai una cosa, te la vai a prendere, punto.
Certo ci sarà un manager particolarmente specializzato in un determinato mercato: io a tutt'oggi posso dire di essere estremamente specializzato e la mia agenzia Noiza è estremamente specializzata, in ambito skill games e gaming. Però, come dire, non ne faremmo mai la bandiera del nostro lavoro. Anzi, la nostra idea è di cercare sfide in ambito fashion, in ambito Beauty in ambito farmacia, in ambito di servizi, in ambito prodotti. Il nostro obiettivo è scalare il nostro sapere, altrimenti che fortezza Bastiani ci costruiamo se rimaniamo iper-verticali?”.
"L'incrementalità è una domanda che ti devi fare costantemente: quelle vendite ci sarebbero state lo stesso, anche senza la mia campagna di marketing?"
“Io sono per la definizioni estreme, ho anche un po' quel retrogusto per la provocazione. Quando io parlo di morte del funnel o fine di una specie di Illuminismo consumistico, è proprio per lavorare su un'idea di complessità. È chiaro che non siamo chirurghi a cuore aperto, quindi non esageriamo col termine complessità, ma approccio complesso significa che noi non possiamo trattare un caso come un altro. E quindi quelle sequenze meccanicistiche che abbiamo sempre messo nelle nostre campagne, tipo Top of the funnel, Middle of the funnel o Bottom of the funnel, classica semplificazione meccanicistica di un processo d'acquisto, molto probabilmente in alcuni casi non servono. Anzi, sempre di più non servono.
Proprio una delle parole che più va di moda in un contesto attuale in ambito di advertising è brandformance, cioè l'idea di fare performance unendo degli elementi forti di brand.
Mi spiego: se io all'interno di Meta costruisco una campagna Advantage plus, che è una campagna per natura orientata alla vendita e per natura una campagna algoritmica, è evidente che questa campagna ha sì un obiettivo di vendita, ma se io al suo interno ci piazzo 40-50 creatività differenti è ovvio che sto dando anche una dimensione di Brand building al mio cliente.
Perché possono essere delle Collection, ci possono essere video, anzi molto spesso quegli stessi video che io utilizzo in una fase brand posso usarli perfettamente, se funzionano, in una fase orientata alla conversione.
Quindi viviamo in una fase di totale ibridazione delle strategie e andare ad accasarsi nel partito del Funnel contro il partito del Messy Middle è deleterio per un marketer.
Un marketer deve immaginare le sequenzialità, deve saper riconoscere quando è un journey è molto lungo, e quindi ha bisogno di sequenze di attivazione, rispetto a un journey che in realtà è più breve, più rapido, più compulsivo, più isterico, su cui andare a costruire una strategia basata sul Trigger point e sull'attivazione dell'attenzione.
Per quanto riguarda l'incrementalità, è un concetto che tendiamo a trascurare. Nel senso che abbiamo sempre, tendenzialmente, un’over-valutazione delle nostre performance soprattutto quando guardiamo i dati da piattaforma e vediamo i nostri risultati: oddio come performa bene Meta, guarda che bel ROAS eccetera.
L'incrementalità è una domanda che ti devi fare costantemente e pensare: ma quelle vendite che io ho portato sono incrementali? Cioè quelle vendite ci sarebbero state lo stesso, anche senza la mia campagna di marketing? Certo che è molto difficile da riconoscere, quando qualcosa è incrementale e quando no. Però tendenzialmente rischiamo di andare a come dire a procurarci dei bias di quanto siamo bravi, quando in realtà in sostanza non facciamo altro che semplicemente rinforzare determinate vendite che probabilmente ci sarebbero state lo stesso.
I Social non è che debbano avere una strategia a sé stante, i Social sono devono essere inseriti sempre di più all'interno di un ecosistema che è quello del Paid, ma comunque l'ecosistema del marketing digitale di un'azienda. Non a caso i grandi advertiser ti dicono che la valutazione del dato è una valutazione sì ancora di piattaforma, nel senso che comunque i risultati di piattaforma li devi guardare, ma vanno sempre visti in chiave ecosistemica. Quindi per esempio il MER, l'andamento complessivo. O quanto impatta il ruolo dei Social rispetto agli altri canali, lavorando con dei modelli attributivi: penso ai marketing mix model o altre realtà genere.
A livello creativo sì, nel senso a livello creativo ci vuole sicuramente un salto di qualità rispetto a alle esigenze algoritmiche. L'algoritmo richiede una frequenza piuttosto ampia, non solo frequenza intesa come rapporto tra copertura e impression, che per forza di cose deve salire se vogliamo rimanere memorabili, ma anche una frequenza di aggiornamento di creatività, di studio, di testing continuo, non casuale. Non è che devo buttar su una creatività e vediamo se funziona, tutto quello che io fornisco all’algoritmo deve essere stato preventivamente pensato, progettato e ovviamente testato”.
"Io sono ossessionato dalla narrativa, soprattutto americana. Un po' sicuramente mi ha aiutato nella mia professione, ma non ne farei un concetto universale"
“No. Uno degli errori più classici del marketing è universalizzare la propria esperienza personale ed è una cosa che non vorrò mai fare: siccome io leggo narrativa, allora il marketer deve leggere narrativa. Io sono ossessionato dalla narrativa, soprattutto americana, ed è chiaro che mi ha creato un background culturale di pensiero, di trame, di storia, di figure, di personaggi. Vengo da quell'immaginario lì e quindi è naturale che io peschi da questo immaginario. Poi uniscici anche una tradizione un po' triestina legata alla psicologia cognitiva, a Gaetano Kanizsa. Utilizzo queste fonti che mi hanno formato e che mi continuano a formare e vado a provare le provare a metterle all'interno di un contesto di marketing.
È evidente che se noi entriamo in un contesto dove la nostra creatività è sempre un'espressione di Storytelling, conoscere i meccanismi in una trama, perché ne hai lette migliaia, è evidente che aiuta. Aiuta sapere che cos'è un Climax, aiuta sapere che cos'è un anticlimax, aiuta sapere che cos'è una rottura della finzione scenica, aiuta sapere cos'è un timbro, cos'è un tono.
Nella fattispecie, il close reading è qualcosa che ho appreso molto di recente e che ho provato ad applicare al mio mestiere. Non ne farei un concetto universale, devo dire che però nel mio caso probabilmente l'essere come un grandissimo appassionato di meccaniche narrative un po' sicuramente mi ha aiutato.
Ma forse potrebbe anche essere l'espressione di un fallimento, sai. Magari dentro di me in maniera latente ho sempre ambito a fare altro, a fare che ne so lo scrittore, il romanziere, e invece poi il marketing era la cosa probabilmente più pigra ed efficace per farmi fare quei soldi che probabilmente non avrei fatto facendo il narratore, ecco: forse questa è più la mia componente veneta. Questa mia passione in qualche modo ho provato a traslarla, spero con successo”.
"A un Social Media Manager consiglierei Bel Ami di Guy de Maupassant. Perché c'è dentro la meccanica sia del manipolatore che del manipolato"
“Ti direi sicuramente Bel Ami di Guy de Maupassant. Nel senso che è la cosa apparentemente più distante dal marketing, però ti spiega una vita di una persona, di una buyer persona. Una persona che cambia mille cappelli contemporaneamente, cambia trame, e cresce, si sviluppa, ha dei rise and fall costanti, interpreta personaggi, taglia i ponti con le proprie origini, è sul pezzo della contemporaneità. Sa esattamente che cosa accade nel suo tempo presente, è smaliziato: io direi che Bel Ami è proprio una lettura che non ha niente a che fare con il Social Media Marketing, ma quando lo finisci secondo me un po' ti ci rivedi nella meccanica sia del manipolatore che del manipolato”.
Marco Borraccino
Una checklist in dieci punti sulla strategia Social Media di brand partendo dai dati del Digital Report 2024 di We Are Social e Meltwater.
INTERVISTA | L'aggiornamento iOS 14 sugli iphone ha aperto una nuova era nella privacy: per chi fa pubblicità sui social Meta, oggi il tracciamento del traffico degli utenti è più opaco e carente di prima. Lo strategist Emanuele Maragno racconta però che l'advertising su Facebook funziona ancora molto bene e che la sua centralità nel digital marketing è intatta. Ma i professionisti devono cambiare.
Twitter è noioso, dicono in tanti: bene, qui novantanove profili per renderlo interessante e plurale. E alcuni suggerimenti per allestire un newsfeed coerente e funzionale ai propri interessi.
Kom42 è il laboratorio di Marco Borraccino, consulente di strategia, gestione e formazione in ambito social media marketing e comunicazione digitale.