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Aprile 7, 2021

Social e Infodemia, Quattrociocchi: “Clickbait? I danni iniziano prima”

INTERVISTA | Gli algoritmi e la polarizzazione delle piattaforme, il caso Trump, la disinformazione, l’infodemia: ne parliamo con Walter Quattrociocchi, docente di Data Science all’Università La Sapienza.

Intervista Walter Quattrociocchi Social Recap

Perché le persone sui social media tendono a interagire soltanto con chi la pensa come loro?

Sono nati prima gli algoritmi dei social o la polarizzazione?

Quali sono le responsabilità delle piattaforme?

Che ruolo hanno i media tradizionali nella diffusione di informazioni non accurate, ovvero in quella che viene definita infodemia?

Chiunque lavori professionalmente sui social, anche semplicemente gestendo una community, si è trovato nella condizione di dover affrontare le dinamiche comportamentali delle persone in rete. Tutti forse, come abitanti delle piattaforme, ci siamo prima o poi imbattuti in certe domande.

Sono in molti a offrire risposte, ma solo pochi possono farlo in ragione di dati e studi scientifici riconosciuti a livello internazionale: uno di questi è Walter Quattrociocchi, docente dell’Università La Sapienza di Roma, dove da pochi mesi ha creato il Center for Data Science and Complexity for Society, un luogo di ricerca che punta a studiare il nuovo ecosistema mediatico attraverso l’analisi dei dati e gli algoritmi.

Gli ho rivolto alcune domande, su questioni che meriterebbero pagine di ipotesi e dati di supporto. Ho quindi trovato onesto e autentico vedermi rispondere "non lo so". Pochi, infatti, hanno il coraggio di non avere un'opinione in questo periodo.

Algoritmi Social | L’echo chamber è alla base del business delle piattaforme: difficile che cambi. Occorre lavorare per rendere più chiaro come siamo noi in rete.

Questa tesi era già al centro del primo libro di Walter Quattrociocchi, “Misinformation:  Guida alla società dell'informazione e della credulità”, edito nel 2016:

"Gli utenti tendono a riunirsi intorno a narrative condivise e a promuoverle e discuterle con persone che la pensano più o meno allo stesso modo"

Cinque anni dopo l'uscita di quel testo, possiamo dire che la situazione sia invariata.  Del resto le echo chamber sono nel modello di business dei social: le piattaforme propongono contenuti a noi affini per farci restare il più a lungo possibile, acquisire i nostri dati e rivenderli agli inserzionisti. Le novità di algoritmo annunciate negli ultimi giorni dal vicepresidente di Facebook Nick Clegg vanno in quella direzione, anzi in un certo senso blindano ancora di più l'universo dell'affinità di fonti e contenuti.

  • Come se ne esce? È ipotizzabile, soprattutto è legittimo, esigere algoritmi che garantiscano un feed “plurale” e non solo fonti compiacenti? O è opportuno lavorare per dotarci di maggiore consapevolezza?

Quattrociocchi: “Non lo so. Non so se sia legittimo esigere qualcosa.

Il modello di business delle piattaforme è quello. Non saprei come esigere un maggior pluralismo.

Lavorare sulla divulgazione e rendere più chiaro come funzioniamo noi online potrebbe funzionare”.

Trump | Il potere di ban andrebbe normato, ma i tentativi di farlo si dimostrano inapplicabili.

Quattrociocchi: “Penso che è una cosa molto articolata ed è difficile prendere posizione.

Il ban di Trump è avvenuto perché ha contravvenuto agli standard di comunità di Facebook. Un potere che era stato richiesto di esercitare da tanto tempo, ma non era mai stato esercitato. È un qualcosa che andrebbe normato.

I tentativi di normare queste cose sono molti, ma finiscono poi sempre per scontrarsi con l’inapplicabilità effettiva”.

Polarizzazione | Chi l'ha capita, la sfrutta.

  • I social fotografano la polarizzazione della realtà. Il post divisivo attiva sia favorevoli che contrari, in una spirale che porta visibilità alla fonte ma nessun confronto. Ci sono personaggi pubblici che sfruttano questo meccanismo?

Quattrociocchi: “Lo sfruttano tutti quelli che lo hanno capito. C’è poi chi è più bravo di altri a farlo. Ma la costruzione dell’immagine sui social, anche quando cerca di conciliare, si pone in maniera contrapposta a chi polarizza. Il circolo è ineludibile”.

Disinformazione | Le notizie false non sono più virali di quelle vere: la diffusione si determina in base agli utenti e alle singole piattaforme.

  • Le notizie false non sono affatto più virali di quelle vere: è uno degli ultimi risultati dei lavori del suo gruppo. Come siete giunti a questa conclusione?

Quattrociocchi: “Con il buon senso? Come fa il valore di verità di un’informazione a determinarne la velocità di fruizione e di diffusione? Magari è più sensato pensare che si diffonda in base al pubblico che la fruisce, alla piattaforma. Infatti…

Infodemia | I danni partono da lontano: giornalisti poco preparati. Esperti che non lo sono. Scienziati che non lo sono.

Quattrociocchi: “Il clickbait è solo un tentativo disperato di tenere il passo in questo ecosistema informativo che è cambiato. I danni vengono da più lontano. Giornalisti, spesso (purtroppo) poco preparati delle materie che decidono di approfondire. Giornalisti spesso (purtroppo) poco preparati delle materie che trattano che chiamano esperti che non lo sono. Esperti che non sono esperti. Scienziati che non sono scienziati ma vengono presentati come tali. Professori che non lo sono. Il problema è lì: tante informazioni che alla lunga fanno l’effetto di stancare e la sfiducia prende il sopravvento”.

Marco Borraccino

@borraccinomarco

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